Arrivo a scuola con la mia bicicletta.
Oggi io sono un’universitaria felice: volo su due ruote, vento nei capelli, jeans e borsa a tracolla a frequentare i corsi. Una volta accomodatami in aula tirerò fuori il blocco appunti e la mia Noris e mi accingerò ad ascoltare con entusiasmo l’oratore di turno.
All’epoca sentivo girare a grande velocita` le ruote ben oliate del mio cervello e tutta la lezione mi appariva davanti agli occhi come un mosaico pieno di colori, dove ogni particolare stava ben concatenato all’altro e ogni tassello prendeva il suo posticino.
Oggi invece il mio cervello scricchiola e so gia’ che piu’ di un tassello non trovera’ mai il suo posto girando a vuoto in un tristissimo loop.
La scuola dove sto entrando infatti non e’ la mia, e’ quella dei miei figli: in questo auditorium da diversi anni vengo ad ascoltarli cantare nel coro natalizio, assisto alle loro imprese teatrali, partecipo alle assemblee dei genitori e dei rappresentanti di classe.
L’entusiasmo che ci metto pero’ e’ lo stesso di quella ragazza di vent’anni fa, perche’ la materia che si discute e’ di mio grandissimo interesse:”La divulgazione per ragazzi tra scienza e conoscenza - una bibliografia per approfondire”.
Mi sono iscritta pochi giorni fa nella Biblioteca Comunale di Pergine Valsugana. Andavo a chiedere se mi avevano tenuto da parte un libro e mentre attendo il mio turno butto l’occhio su un pieghevole giallo, bianco e rosso. E’stata una folgorazione: io nei libri ci sguazzo, ci ho aperto un blog (ok faccio un po’ fatica ad aggiornarlo) in cui ci metto anche le recensioni dei miei figli e qui c’e` addirittura la presentazione di una bibliografia! Sulla brochure spiccano alcuni nomi autorevoli che conosco: Paolo Canton di Topipittori… a Pergine... ? Sarà solo per addetti ai lavori sicuramente.
Io non sono maestra, non sono professoressa, non sono bibliotecaria, non sono libraia,
di fronte a questo corso posso pormi solo come mamma-lettrice.
Ma quando tocca a me la bocca parla dalla pienezza del cuore (Lc 6,45) esordisco con un “Posso partecipare anch’io?”.
Cosi’ sono qui. La differenza da allora, oltre che nel rumore che producono le rotelle del mio cervello, tra le altre cose sta anche nelle taglie in piu’ dei miei jeans e nella presenza dello smartphone che mi lega a ciò che inevitabilmente ho dovuto lasciare fuori da questo auditorium oggi: cinque figli, una serie di parenti che si turnano nell’accudirli (santo in eterno il loro nome) e un marito che viaggia per lavoro all’estero e che ha deciso di programmare il prossimo weekend via whatsapp proprio ora-adesso-now dimenticando che anch’io ogni tanto c’ho da fare (ogni tanto).
Dimenticavo.
Alle 17 ora prevista per termine lavori della giornata di corso mi ha fissato, dalla Grecia dove si trova, la revisione del nostro camper.
Probabilmente e’ convinto di aver sposato la nipote di Superman.
Detto ciò lego la bici e vado al desk a firmare la mia presenza perché a fine lavori riceverò’ un attestato di partecipazione.
All’ingresso e’ stata allestita una mostra bibliografica con molti dei testi protagonisti di questo corso, posso sfogliarli, fotografarli, emozionarmi davanti ad essi.
Alcuni mi colpiscono subito per le illustrazioni, altri per il tipo di impaginazione, altri per il contenuto decisamente originale.Individuo libri che gia’ conosco, ma che non ho in casa, libri che hanno letto i miei figli, libri che vorrei acquistare, ma sempre ritenuti troppo costosi per le mie tasche, libri curiosissimi e curatissimi che giocano con le dimensioni, che costruiscono stupefacenti profondita’ con la carta, libri che dimostrano come l’universo-libro sia davvero paragonabile all’universo stellare a cui apparteniamo: ancora in espansione, ancora pieno di possibilita’ comunicative non rivelate.
Mappe di Aleksandra Mizielinski Daniel Mizielinski
I’m gonna be born di Katsumi Komagata
Ma su quei tavoli ci sono anche libri che non suscitano affatto nessuna risposta in me quando li prendo in mano, libri che non ho mai visto e i cui argomenti mi sembrano noiosi e scontati e un po’ mi dispiace, mi sento un po’ ottusa: “forse e’ per questo che il corso e’ rivolto principalmente al personale educativo” penso tra me e me.
Però poi nella mattinata ascoltiamo Giulia Mirandola e Paolo Canton.
Giulia Mirandola e Paolo Canton
Prendo appunti e mi lascio letteralmente trafiggere dalle immagini proiettate, dalle novità editoriali, dalla profondità di certi pensieri: tutto mi istruisce. Sento che questo linguaggio letterale mi appartiene, che non sono estranea a questi argomenti perché l’obbiettivo qui e’ comune perché tutti ci raduniamo attorno al tentativo di comunicare ai bambini e con i bambini.
Questo corso mi e’ estremamente utile per capire come fare.
E mi tira le orecchie perché sono frettolosa con i miei figli, perché pretendo da loro un approccio “adulto” alle cose, ma loro non sono adulti, sono bambini.
Giulia dice che e’ necessario un contenuto estetico di prim’ ordine (*) che pone il bambino di fronte alla materia scientifica con interesse e non con costrizione e dovere, che lo mette nella condizione di voler conoscere per il piacere di conoscere.
Questa e’ parole in effetti sono principalmente una lezione di vita.
E la mamma che e’ in me pensa:”Povero il mio E. che ieri per fargli fare le divisioni a due cifre mi e’ toccato mettermi ad urlare, a ricattarlo, a minacciarlo. Ma certo che non voleva farle le divisioni! Se avessi lasciato parlare la bambina che sono stata gli avrei raccontato che anch’io piangevo di fronte alle divisioni a due cifre, mi si annebbiava letteralmente il cervello e mentre pensavo alla tabellina che stava dietro al meccanismo dell’operazione perdevo il filo del discorso e non sapevo più che conti dovevo fare! Se mi fossi messa dalla sua parte gli avrei spiegato con tutta onesta’ che imparare a dividere a due cifre ha i suoi vantaggi anche nella vita pratica e che comunque prima o poi fra qualche anno avrebbe usato la calcolatrice e si tratta di avere solo ancora un po’ di pazienza ”.
Il contenuto estetico di prim’ordine in questo caso risiedeva non già in un libro illustrato, ma nell’immagine di una madre che comprende suo figlio e gli tende una mano.
Ecco perché appena entrata, quando li ho visti li’ su quel tavolo alla mostra, ho messo i silent book (i libri senza testo) nella categoria di quelli che non mi interessano o mi annoiano: perché sono frettolosa, perché arrivo davanti ai libri con il mio bagaglio di conoscenze e sicurezze e non mi prendo ne’ il tempo ne’ la briga di provare ad usare occhi diversi.
Un bambino davanti a quei libri non si pone come mi sto ponendo io: prende un silent book tra le mani e scruta i disegni, nota la diversita’ delle forme, dei colori, accoglie l’immagine come una cosa nuova che non rimanda a esperienze pregresse, entra nella pagina e libera la fantasia.
A ben pensare e’ proprio questo che mi affascina dei miei figli quando li porto nella Sala Ragazzi della biblioteca: lo sguardo luminoso che hanno ogni volta che voltano pagina.
L’ho fatto per tanti anni e non ho mai pensato che fosse il punto di partenza per tante altre avventure meravigliose nel mondo della conoscenza.
I bambini hanno una sensibilita’ estetica che a noi manca: la cosa bella li cattura e la potenza della bellezza richiama al “fare”, al voler sapere, al conoscere.
Per questo esistono i silent book (penso a L’uovo e la gallina di Iela ed Enzo Mari o a Dans la Lune di Fanette Mellier ) quei libri vanno letti come li leggono i bambini.
Per capire il meccanismo immaginiamo di essere un bambino di due anni e mezzo: mi mettono nel passeggino e mi portano in giro, tutto per me e’ nuovo, ma soprattutto non ha testo scritto! Imparo senza testo, con i sensi, con i colori, le forme, i suoni. Il libro senza testo evoca le stesse sensazioni nel bambino e presuppone questo tipo di lettura. Il libro senza parole stringe il campo dell’immagine mettendo a fuoco il particolare senza rinunciare a rimanere aperto, interpretabile, fluido.
In quest’ottica la naturale conseguenza e’ che poi il libro diventa una cosa personale, come l’orsacchiotto di pezza. Ci sono bambini infatti che leggono e rileggono lo stesso libro in un modo che a noi adulti sembra paranoico, sfinente se non preoccupante.
Scopro che la divulgazione nei bambini passa attraverso la semplificazione del gesto divulgativo, non del concetto, e’ necessario che il concetto che si vuole divulgare sia corretto, vero, sperimentabile.
I libri di divulgazione scientifica e artistica devono sviluppare l’osservazione nei piccoli lettori perché provino l’ebbrezza del guardare, della conoscenza. E la conoscenza si arricchisce in una comunità’ di persone perché condividere e’ inebriante, rafforza il piacere della scoperta. Qui tiro un sospiro di sollievo: i nostri figli sono molto uniti, per necessita’ organizzative della famiglia fanno moltissime cose assieme, quindi la comunità in cui condividere ce l’hanno in classe, ma anche a casa!
Lo stesso concetto viene evidenziato nel pomeriggio da Cristiana Bianchi di Iprase che racconta dell’esperienza del progetto montagna, dove la semplificazione divulgativa si e’ servita di esperienze pratiche sul campo sia nella formazione dei docenti che nella trasmissione poi a scuola ai ragazzi. L’esperienza dell’ambiente montagna in gruppo ha stimolato e rafforzato il desiderio di conoscere e ha in molti casi stupito i ragazzi.
Ascolto poi l’intervento dell nostra bibliotecaria Maria Lunelli a meta’ per via della sopracitata revisione del camper, mi tocca scappare un po’ prima perché l’officina e’ in un paese vicino. Ma riesco ancora a farmi tirare le orecchie da uno schema che viene proiettato qualche minuto prima della mia partenza.
Partendo dal presupposto che in eta’ prescolare esiste una naturale predisposizione alle scienze (abbiamo tutti presente la fase dei perché?) il bambino ha tutte le carte in regola per imparare e non va smorzata la sua curiosità’, anzi va sollecitato a farsi domande e a cercare le risposte.
Di fronte ai perché della mia piccola di 7 anni quante volte ho risposto “non lo so” invece di “lo scopriamo insieme?” o nella migliore delle ipotesi le ho rifilato un dogma invece che un “ma tu come pensi che sia?”. Spesso mi sono curata solo del fatto che apprendesse il concetto senza passarle l’idea che si può verificare quel concetto quotidianamente nella vita di tutti i giorni, invece che mettermi sul suo piano ho smorzato in lei l’entusiasmo del perché.
E cito solo la mia piccola L. perché e’ l’ultima e mi ricordo meglio.
Potreste pensare che questo corso sia stato sostanzialmente per me un’occasione di autoflagellazione, un sottolineare tutto cio’ che non ho mai fatto con i miei figli, le occasioni che ho rubato loro e perso io. In realtà tutto questo ha suscitato in me una grande gioia e una voglia di ricominciare, a modo mio ho tentato da quando sono nati di farli familiarizzare con i libri avevo solo bisogno di essere istruita meglio su come fare.
Ovviamente come e’ nel mio stile dovevo comunicare la mia felicita’ all’universo creato percio’ non ho potuto esimermi dal prendere la parola ed esprimere quanto avevo dentro. Sono qui come mamma che altro posso comunicare a questa platea, a questi relatori oggi se non questo: in fondo chi sono i primi che portano i bambini ai libri se non i genitori?
Il giorno successivo arrivo trafelata ed in ritardo, sono incasinata sul serio, ma se ce l’ho fatta ieri ce la faro’ anche oggi che il corso mi prenderà solo mezza giornata.
Quando entro sul palco c’e’ già Debbie Bibo.
Debbie Bibo e Nicola Galli Laforest
La sua parlata accattivante e l’aspetto deliziosamente esotico mi incantano e va a finire che mi rilasso e inizio a divertirmi: se il primo giorno di corso e’ stato per me quello della riflessione, il secondo sarà quello del conforto. Mi ritrovo in tutti i libri che in una delicata e fresca carrellata Debbie ci propone, sara perché si parla di patterns floreali, giardini, pittura e arte in genere, ma mi sento ben disposta ad accogliere anche libri che rovesciano il concetto imprescindibile che ho sempre coltivato come un assoluto: i libri non si toccano, sono inalterabili, sono eterni. Quelle che scorrono sulle slides sono spesso immagini di libri che hanno senso di esistere solo se si da’ loro l’opportunita di essere “violati”, si usano, si tagliano, si ricompongono. Si usano insomma!
E poi l’intervento di Debbie è glamour! Ci porta al Moma a Manhattan e siamo lì con lei mentre le chiedono di realizzare un libro museale, un’opera illustrata per ragazzi sulle esposizioni. Voliamo con lei a Buckingham Palace dove si vuole avvicinare i ragazzi alla figura della Regina attraverso la carta stampata. La seguiamo mentre seleziona i professionisti che realizzeranno materialmente questi libri e scopriamo quante sono le figure che intervengono in questa creazione, assistiamo alla complessa, ma stimolante nascita dell’opera come fosse una sfida che noi stessi dobbiamo accogliere.
Rimango immensamente affascinata dal lavoro degli illustratori che danno corpo e volto alle storie narrate dagli scrittori
The Adventures of Alice Laselles adattamento di una fiaba inventata dalla Regina Vittoria all’eta’ di 10 anni
ma anche dalle geniali idee narrative: l’armonia tra le due parti , scrittura e immagine, conferisce immediatezza al messaggio, attimi di pura comicità e di stupore.
Come adulta mi commuovo davanti a certi libri, andate a cercarvi in libreria Non ho fatto i compiti perché… di Calì & Chaud e capirete di cosa sto parlando o Il mondo è tuo di Zagnoli o ancora (e questo purtroppo non è possibile trovarlo in italiano) I’m gonna be born di Komagata.
I’m gonna be born di Katsumi Komagata
I’m gonna be born di Katsumi Komagata
“Grazie, mamma. Io sono nato”
Rimango talmente affascinata dalla poesia di questo libro che digito un rapido messaggio alla mia insegnante di lingua giapponese per chiederle una traduzione al volo di questa frase e quando mi risponde un’ondata di emozione mi parte dal cuore e arriva in superficie fino a provocarmi la pelle d’oca: sta ringraziando me, sono io quella mamma pasticciona e incasinata che sbaglia sempre e non fa mai abbastanza.
Pero’ cavolo ho messo al mondo un essere umano.
Sono talmente euforica che pervasa da un impulso molto naive vado a chiedere a Debbie Bibo perché questo libro non sia edito in italiano e le propongo la mia insegnante come traduttrice!
Non prendo moltissimi appunti perché non intendo perdermi neanche un’immagine delle numerose che vengono proiettate, mi limito ad annotare titoli e autori.
Faccio lo stesso durante l’intervento di Nicola Galli Laforest che con un occhio speciale all’eta’pre-adolescenziale e adolescenziale ci da un’idea di come sarebbe bello se la divulgazione storica fosse realizzata attraverso il libro illustrato o il romanzo.
I titoli sono moltissimi e molti gli autori citati, io non ne faro’ l’elenco, fisso nella mente il concetto che spesso queste opere non vogliono parlare di storia eppure raccontano benissimo i fatti dell’epoca in cui sono ambientati, l’aria che si respirava, le abitudini popolari, la societa’. Per esempio Gianburrasca che ritrae impietosamente l’Italia politica dei primi del 900: oggi non si potrebbe pubblicare roba cosi’ di parte!
Davanti ai nostri occhi scorrono (per mia somma gioia che ne sono appassionata) molte tavole di Graphic Novel. Due tra tutti: The Wall di Peter Sis che narra della crescita di un bambino cecoslovacco durante il regime totalitario, le immagini hanno un impatto fortissimo sul lettore in un crescendo che si intuisce grazie all’uso del colore e Hitler di Shigeru Mizuki che dopo un accurato studio e una minuziosa ricostruzione della vita del dittatore ne tratteggia la personalità e le opere in maniera nuova e stupefacente.
E’ bello osservare come gli illustratori si confrontino con le ideologie che hanno travolto la storia. Questo attrae molto i ragazzi, si mette immediatamente in comunicazione con loro, sostiene Nicola.
Passando per Paul Roswell fino ad arrivare a Corto Maltese la storia si può narrare davvero con esattezza di dati e in maniera accattivane, portando il ragazzo ad apprezzare diversi punti di vista grazie anche al fatto che molte di queste opere sono scritte sulla base di esperienze auto biografiche.
Dopo lo spazio per le domande e le cortesi risposte dei relatori e’ tempo di chiudere.
Io devo tornare a casa, vorrei stare ancora qui a bearmi di quest’aria cosi’ culturalmente stimolante, ma il dovere mi chiama, ho chi mi aspetta. Mi consegnano l’attestato di frequenza e tutta contenta torno alla mia bicicletta.
Mentre cerco di far riemergere la chiave del lucchetto da questa borsa senza fondo mi accorgo che una vocina mi sta chiamando da un po’:”Scignola! Scignola!” mi volto verso la rete che separa la scuola dalla piscina e al di la’una faccetta sorridente e sdentata mi sta chiamando, e’ un bambino con gli occhi a mandorla e la pelle abbronzata:”Palla!” mi indica col dito infilato tra le maglie della rete.
Gliela vado a prendere e la lancio dalla sua parte. Lui sorride felice e se ne va salutando con la manina.
Poteva concludersi meglio questo corso? Un bambino che sorride quando lo aiuto: sigilla tutte le parole e le immagini di cui ho beneficiato in questo ultimo giorno e mezzo. Mi prende una voglia tremenda di sbaciucchiarmi i miei figli, pedalo veloce verso casa.
Silvia
*lo scritto in corsivo riporta le parole dei relatori che sono riuscita ad appuntarmi
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Grazie Scake