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mercoledì 26 gennaio 2022

"L'anulare" di Yoko Ogawa

Un libricino sottile, comprato per la bellezza della copertina in verità. 
L'edizione della collana Le Opere del Corriere della Sera dal titolo " La grande letteratura giapponese" l'anno scorso allegava al quotidiano settimanalmente per 25 uscite una serie di romanzi di autori giapponesi degli ultimi decenni. 
La realizzazione delle copertine, affidata ad XxYstudio, utilizzava i toni del bianco, del rosso e delle sfumature di grigio. Sobrie, accurate, ogni volume una piccola opera a sé. 
Questa de "L'anulare" di Yoko Ogawa è tutta bianca.
Davanti il disegno a china rossa di tre funghi, in altro a sinistra in rosso l'autore, in nero il titolo e invece in alto a destra titolo (薬指の標本-Esemplare di anulare) e autore in ideogrammi neri. 
La quarta di copertina riporta rovesciato a 90° in alto a destra un estratto del testo e in basso i disegni delle copertine di tre volumi della collana: il precedente, questo e il successivo. 
Molto elegante. 
Fa venire voglia di sfogliare il libro. 
Fa venire voglia di comprare tutti i volumi. 

Non conosco nulla di questa autrice, so solo che il Saggiatore ha stampato "l'isola dei senza memoria" romanzo di cui ho letto qualche recensione grazie a librogiappone.
 
Inizio la lettura e immediatamente riconosco lo stile di alcuni autori giapponesi contemporanei: lineare, essenziale, pulito, scorrevole. Periodi brevi in cui grande spazio prendono la luce, l'aria, i suoni, le sensazioni. 
Quelle della protagonista non sono propriamente rassicuranti, ma lei procede verso gli inevitabili eventi con passo cadenzato, inflessibile anche di fronte ai molteplici segni inquietanti che l'ambiente e le persone producono. 
La nostra dopo un infortunio sul lavoro si trasferisce da un paese costiero e in città risponde ad un'offerta di impiego per una ditta che è a tutti gli effetti uno spaccato onirico infilatosi in una minuscola crepa della realtà. In un quartiere comune di una città comune si erge un vecchio edificio molto comune che è sede però di una ditta atipica in cui vengono realizzati manufatti atipici grazie ad un atipico artigiano: il signor Deshimaru.
Apro una perentesi: chiamarlo il signor Deshimaru fa tanto scapolone attempato, ma immagino che nella lingua originale non suoni esattamente in questo modo. Sarà sicuramente Deshimarusan dove さん è un suffisso che in giapponese si appone a tutti gli individui maschi adulti, diciamo tutti quelli usciti ormai dalla giovinezza per cui il suffisso è invece くん (kun). Io quindi lo immagino un uomo sui 30-35 anni, maturo e consapevole delle sue capacità, cortese e abbastanza affascinante nella sua risolutezza. Chi però ha avuto accesso alla versione originale può tranquillamente contraddirmi.
La nostra protagonista ne diventerà la segretaria, segretaria di una ditta in cui Deshimaru sembra essere l'unico soggetto.
E tutto quello che capita è strano. 
E' strano il segreto che ruota attorno alla realizzazione dei manufatti o esemplari come li chiama Deshimaru. Non le viene detto cosa effettivamente siano, ma solo perché le persone li richiedano. 
E' strano il modo in cui il rapporto tra Deshimaru e la sua segretaria si evolve. 
Questi piccole briciole di assurdo tracciano un sentiero che la protagonista percorre senza indugio, un Alice nel paese delle Meraviglie, curiosa e quindi imprudente, ma incomprensibilmente remissiva.
Sembra manifestare la consapevolezza di essere padrona della sua esistenza scegliendo di perderla frammento dopo frammento, di fondersi con l'universo totalizzante del signor Deshimaru. 
La rapida progressione di questa perdita cattura il lettore che avanza speranzoso in un riscatto che non avverrà. 
O forse si? 
La lasciamo sull'orlo dell'abisso e ci rendiamo conto che di questa protagonista non conosciamo neanche il nome. 
Il romanzo è breve dal finale sospeso, ma a dire la verità dopo l'ultima parola abbiamo quasi la sensazione che alla fine tutto si compia comunque.

Mi è piaciuto? 
Si, direi che mi è piaciuto però mi ha anche sconcertato, come sempre avviene quando seguendo la trama ci si imbatte nell'imprevedibile.








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