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martedì 12 agosto 2025

Scake e "le otto montagne" di Paolo Cognetti


Pensavo fosse il romanzo perfetto.

L'ho letto a distanza di 4 anni dalla sua uscita anche se mi era stato regalato due anni fa. L'ho affrontato consapevole che era preceduto dalla sua fama: universalmente apprezzato, tradotto in tante lingue, vincitore del premio Strega, adattato per il cinema, insomma un capolavoro. Ed in effetti è un bellissimo libro, nello scaffale di quelli che io ritengo belli sicuramente. Avevo già letto di Cognetti "il ragazzo selvatico" e mi era piaciuto un sacco, ma quello era una specie di reportage. 

Le otto montagne me lo sono mangiato direi in poche ore, diluito in qualche giorno però perché volevo rifletterci nel mentre. Ad un certo punto poi per una giornata intera ne ho sospeso la lettura, un po' dolorante (l'argomento genitori ed eredità emotiva in questa fase della mia vita è un pensiero parecchio impegnativo) ma pure un po' incredula o forse incazzata. Cerco di spiegarmi. 

Il senso di rimpianto che corre in tutta la seconda parte della storia in realtà non rimpiange veramente, non so come dire, è un po' troppo freddo. È un non-detto e non perché non si sappia esprimere (figurati Cognetti che non sa esprimere). E quindi perché? Troppo doloroso per ammetterlo anche a se stessi? Quindi Pietro è lì in contemplazione della mancata maturazione di un rapporto affettivo osservandone i frutti con un ben simulato sereno distacco. Oppure non esiste nessun rimpianto? Filosoficamente accettando che la vita è fatta di scelte che non vanno mai rimpiante appunto, neanche se sono delle bellissime occasioni mancate. Perché parere mio a me sembra impossibile che un genitore così ingombrante (parole sue) non lasci traccia dentro, proprio nella carne, nei neuroni soprattutto, ma solo fuori in alcune parole scritte sul picco di una montagna. Una bella trovata da romanzo e funziona pure, ma è poco onesta. 

E poi Bruno. Immutabile come la montagna e fragile come il primo sottile strato di ghiaccio sul lago alpino all'inizio dell'inverno. Così tanto fragile da non poter affrontare la responsabilità di un ruolo. E come finisce mi ha fatto male, mi ha fatto soffrire. Speravo un po' diverso il finale, pensavo che se la meritassero tutti la felicità. E invece alla fine questa montagna è ancora una volta una grandissima fregatura. Tanto celebrata tanto ammirata tanto maestra si rivela una rovina per chi l'ha conosciuta e servita. Io pensavo mi avrebbe ispirata e invece mi ha intristita. 

È scritto magnificamente e la storia è tremendamente malinconica, forse troppo per me. Per questo mi ha deluso, per questo non è il mio romanzo perfetto. Però è bellissimo. 

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Grazie Scake