da un'idea di "Era un anno a casa" un blog tutto ... da leggere!!!

martedì 4 settembre 2012

Casa e lontananza




Oggi sto leggendo due pagine dell’inserto “La Lettura” del Corriere della Sera che non ho potuto acquistare per un’estate intera, un’estate in Scozia. 

Rimango colpita da due concetti diversi e allo stesso tempo uniti: CASA e LONTANANZA.



Questa sezione de LaLettura si occupa del Festivaletteratura di Mantova e dei suoi appuntamenti. Ovviamente mi butto a capofitto sugli articoli nostalgica dell’Edinburgh Book Festival a cui dedichero’qualche post sognando anche di poterci fare un salto a Mantova (ops…si svolge proprio mentre sono in vacanza con la mia famiglia a Caorle).
Leggo che quest’anno l’appuntamento risente (ovviamente) del sisma che ha sconvolto la pianura padana nel senso che la citta’ si e’ scoperta piu’ fragile. E credo che non sia appunto un caso se come riferisce LaLettura quest’anno molti degli incontri di Festivaletteratura si occupano di CASA in senso stretto o metaforico oppure in entrambi i sensi.
Inoltre a fondo pagina un trafiletto riporta la parola LONTANANZA scelta da Antonio Prete (critico e scrittore che vorrei conoscere un po’ meglio dopo aver letto quel che scrive qui) nell’ambito dell’iniziativa annuale del Festivaletteratura che si chiama “Vocabolario europeo”. In pratica gli autori che partecipano  al festival sono chiamati a scegliere una parola da inserire in una ideale lingua comune e dalla sua nascita cinque anni fa fino ad oggi le parole collezionate sono 60.

casa
lontananza

Leggo di CASA perche’ quest’ estate ho pensato molto a quanto questa parola mi condizioni.
Credo di aver fatto una delle esperienze piu’ desiderate della mia vita durante questo periodo estivo.
Gia’ nel 2008 al ritorno da un soggiorno a Londra un po’ piu’ lungo del classico weekend, scrivevo nel mio Moleskine che quello che mi piace quando viaggio e’ fare casa. In quell’occasione la cosa si era resa possible perche’ avevamo affittato un appartamentino e vi avevamo soggiornato in 4: io, mio marito, la piccola L. che aveva allora 6 mesi e mio cognato D. sedicenne. Il fatto di avere a carico tre persone da nutrire (tra cui il sedicenne simpatico, ma esigente e la piccola ad inizio svezzamento) mi aveva fatto sentire la necessita’ di entrare nella routine della classica casalinga, ma in trasferta a Londra. La cosa poteva essere da un lato frustrante (MA QUANDO MI RIPOSO IO?) dall’altro molto interessante in quanto cio’ implicava che bisognasse entrare nei supermercati londinesi. Non c’e’ niente di piu’ instructive sul luogo dove si soggiorna che entrare in un negozio di alimentari: vuol dire entrare a contatto con le abitudini e gli stili di vita degli locali
Stare ad Edimburgo due mesi e mezzo e‘ stato ovviamente ancora piu‘ radicale.
Come tutte le esperienze di vita ho dovuto affrontare la parte BRUTTA del cambiamento: dovevo fare in modo che questo cambiamento fosse piacevole oltre che per me anche per i bambini, ma anche la parte BELLA e questa mia passione per la casa mi ha fatto apprezzare tantissimo le cose BELLE del vivere in un luogo nuovo e sconosciuto. E’ stata un’immersione totale ed ineluttabile in una dimensione completamente diversa dalla mia.
A  partire dalla casa in senso stretto.
Cosi’ come al rientro nella nostra casa il 28 agosto l’impatto e’ stato cosi’ forte che anche i bambini ne hanno risentito molto sia in senso positivo (il sollievo di tornare alle proprie mura, ai propri oggetti) sia in senso negativo (scoprire che questa casa rispetto a quella scozzese sia molto piu‘ piccola ad esempio).
Mi interessa ed interroga dunque la relazione tra il senso di sicurezza che vado cercando nel luogo sconosciuto e l’apprezzamento della diversita’, della novita’.
Per questo mi interessa il libro di Eskhol Nevo “La simmetria dei desideri” che racconta l ‘identita’ ebraica vissuta in luoghi lontani da Israele. Forse il passo sembrera’ lungo, ma mi sento legata ad Israele e alla sua storia
perche’ noi Cristiani siamo i fratelli minori degli ebrei dal punto di vista della fede religiosa,
perche’ sono stata in Israele due volte e mi sono innamorata di questo paese cosi’ immensamente saggio ed immensamente stolto nello stesso momento,
perche’ ho letto “a piedi scalzi nel kibbutz” e sono rimasta colpita dallo sconvolgimento che l’allontanamento forzato dalla propria casa abbia provocato nelle persone.
Dice Etgar Keret che “gli scrittori della diaspora avevano una doppia identita‘: quella ebraica e quella del paese in cui vivevano” e questo argomento intendo riprendere come un sentiero abbandonato anni fa dopo la lettura del libro di  Masal Pas Bagdadi forse solo perche‘ non sapevo come proseguire questo filone e forse anche per poca maturita‘.

Ma CASA e’ il nostro pianeta che secondo Edgar Morin “sta morendo”.
A 91 anni questo pensatore francese pero’ e’ un’inguaribile ottimista ed ha ancora voglia di sorridere e insegnare ai giovani a preparasi un futuro dedicandosi all’agricoltura attenta alla biodiversita’ e sara‘ presente anche a Mantova.
La cosa mi tocca parecchio: ho cinque figli da educare alla biodiversita’, credo nella biodiversita’ e nel consumo responsabile. Non che questo argomento sia la mia malattia: tramite il web ho scoperto che ci sono nel mondo (soprattutto mi sembra sia una tendenza di moda negli Stati Uniti) tante famiglie che vivono come se l'unico mood esistenziale sia il flusso di energia che viene dalla terra, la simbiosi con la natura. E’ tutto molto romantico, ma vivo nel modo reale mentre nella maggiorparte dei casi queste sono famiglie talmente benestanti che si possono permettere il lusso di vivere in un mondo parallelo al di fuori delle difficolta’ quotidiane (ad es. far quadrare i conti a fine mese).
Buon per loro comunque.

Leggo di LONTANANZA.
Dice Antonio Prete che “la lontananza e’ il tempo e lo spazio del lontano” e che “la lontananza e’ nelle nostre case sul monitor del computer, sul display di un cellulare” l’antico avverbio greco tele’(=lontano) va a comporre parole come televisione, telefono, telematica.
Perche’ mi fermo su questo trafiletto?
Perche’ la lontananza e’ legata alla casa, perche’ lontananza subito fa eco in me con papa’ e mamma.
Sono stata lontana due mesi e mezzo e quando sono ritornata per quanto preparata dalle parole dei miei fratelli e dalla conoscenza della materia medica, l’incontro con mio padre e la progressione velocissima della sua malattia non e’ stato risolvere la lontananza, ma trovarne una nuova.
Gli occhi di mio padre mi vedevano, ma non mi guardavano, come se fossi dietro uno schermo della TELEvisione. Ho sentito che quella strada che mi aveva riportato a casa si allungava di nuovo e mio papa’ era in fondo laggiu’, piccolino all‘orizzonte. Mi sono chiesta perche’ appena me ne sono resa conto l’ho preso subito per mano: credo sia stato per impedire che si allontanasse ancora di piu’.
Dice Prete che tra i lemmi della lontananza c’e’ la “NOSTALGIA: il dolore della lontananza nell’impossibilita’ del ritorno“.
Ho nostalgia di mio papa’ pur avendolo qui. La maggiorparte dei miei sogni include lui che cammina come se non avesse niente, parla, guida la macchina, e’ solo un po’ sordo come qualche anno fa quando non lo sapevamo, ma era gia’ iniziato tutto. Quasi mai e’ il protagonista dei miei sogni, ma c’e’ sempre come figura marginale, io so che e’ li’ e sono molto sollevata di vedere che sta bene e che si e’ ripreso alla grande.
Poi mi sveglio e il primo caffe’ della mattina e’ questa nostalgia: un dolore sordo dentro lo stomaco quando mi rendo conto che non possiamo tornare indietro.
Ma grazie a Dio ancora qualcuno si ricorda che “non abolire la lontananza e’ compito della letteratura e delle arti”.
Perche’ non bisogna abolire la lontananza? “Abitare nella lontananza aiuta a stare nel presente, respirando l’aria pulita dell’impossibile. E dell’invisibile.”

Trovo molto ristoro in queste parole e un’intuizione mistica che mi prepara alla lotta.
La lotta per non rifiutare la lontananza, per non pretendere niente dal futuro e gustarmi quest’aria pulita.
“Ma la letteraturs e le arti permettono ancora di tenere aperto lo spazio della lontananza: il lettore con il suo tempo interiore collabora a questa apertura.”
Io ce l’ho il mio autore preferito.
In Dio tutto e’ possibile e visibile altrimenti non mi spiegherei perche’ questa realta’ non mi distrugge anche se mi fa male, perche’ mi tornano indietro le lacrime anche se mi viene da piangere ogni volta che ci penso.
Non mi spiegherei come mai mi sento serena.
Credo che Dio mi stia regalando questo tempo interiore per collaborare a mantenere aperto lo spazio del presente, come necessario per me, per mio padre, per mia madre.

Io non lo so da dove Antonio Prete abbia attinto per scrivere quello che ha scritto, se abbia studiato molto per arrivarci, non so se condivida o no con me la fede in Dio, se abbia avuto una forma di sofferenza simile (tutti le abbiamo prima o poi).
So solo che conclude cosi‘:” Ospitalita’: il tu che fiorisce nella tenda di chi accolto la lontananza.”
Da qui partiro' per leggere ancora questo autore.


2 commenti:

  1. Ciao Scake
    Sono tornata dalle vacanze da An. da pochi giorni. Lì ho incontrato persone che conoscono il tuo papà e che lo ricordano con affetto e ammirazione. A. e sua sorella P. mi han detto che era amato da tutta la comunità e che si prodigava per tutti, quando era il medico condotto del paese. Lo ricordano come bravo medico che dedicava tanta cura ai pazienti organizzando addirittura corsi con lo scopo di istruirli sulle malattie e sulla funzione degli organi. Anche della tua mamma hanno un bel ricordo.
    Il tuo post saggio, velato di tristezza e profondo denota ancora una volta la delicatezza dei tuoi sentimenti e nello stesso tempo la tua forza interiore.
    Ti ammiro e ti apprezzo molto.
    Ti abbraccio
    La madame

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  2. Grazie madame, sento davvero che mi sei vicina.
    Scake

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Questo commento sara' letto anche dai miei bambini, tienilo presente!
Grazie Scake